All’esito delle sempre più frequenti ipotesi di contribuenti che, ex lege n. 77 del 17 luglio 2020, hanno avuto accesso indebitamente alle detrazioni d’imposta, si stanno ripetendo statuizioni che tracciano i confini interpretativi rispetto alle problematiche determinate dalla necessità di rimborsare quanto indebitamente ricevuto al fine di scongiurare un danno erariale ossia un ammanco nel bilancio pubblico.
A tal riguardo, si segnale un recente arresto della Suprema Corte (cfr. Cass. Sent. n. 3108 del 24.01.2024), resa in ipotesi di fraudolenta acquisizione dei crediti derivanti dal Superbonus 110%, che ha ritenuto legittimo il sequestro di un credito cd. da Superbonus, seppure acquistato in buona fede da un Ente Bancario, laddove sia stato ottenuto con asseverazioni false, dando così vita ad un’agevolazione fittizia e fraudolenta.
Prescindendo dai profili di responsabilità del tecnico, ex art. 119 co 14 del DL 34/2020 , testimoniata dall’obbligo, per coloro che asseverano gli interventi energetici ed antisismici che danno diritto al superbonus, di stipulare una polizza di assicurazione della responsabilità civile con massimale almeno pari agli importi dell’intervento oggetto di attestazione o asseverazione, mette conto evidenziare come la fattispecie all’esame dei Giudici di Piazza Cavour muove da un’accusa di truffa, legata alla fruizione delle agevolazioni previste in base al Decreto Rilancio (DL 34/2020), nei confronti di alcuni soggetti che non avrebbero eseguito gli interventi per i quali pure era stata riconosciuta l’agevolazione, il tutto condotto attraverso false asseverazioni e fatturazioni con sconto in fattura, poi monetizzato attraverso la successiva cessione dei crediti, successivamente acquistati da una Banca.
La linea difensiva dell’Istituto di credito, inconciliabile con il coinvolgimento nell’operazione fraudolenta, era fondata sul disposto normativo che, in base all’articolo 121 del Decreto Rilancio (DL 34/2020), determina la responsabilità del cessionario solo in caso di utilizzo irregolare del credito o di concorso nella violazione; pur tuttavia, tale difesa non trovava accoglimento nell’interpretazione del Tribunale del riesame che ne bocciava la tesi, disponendo il sequestro dei crediti.
Seguiva alla pronuncia de qua l’interposto ricorso in Cassazione da parte della Banca, con una linea difensiva che, in continuità con quanto espresso in sede di riesame, si fondava sulla circostanza mercé la quale l’acquisto dei crediti da parte della Banca fosse intervenuto in buona fede.
Nell’ambito dei presupposti fattuali succintamente tracciati innanzi si inserisce la pronuncia della Suprema Corte che, in maniera tombale, ribadisce un concetto che sta assumendo efficacia fondante nei contenziosi seguiti al sequestro dei crediti cd. da Superbonus, in ragione del fatto che la buona fede dell’acquirente non risulta sufficiente ad evitare il sequestro, dovendo essere impedita la circolazione dei crediti legati ad operazioni fraudolente.
Per la Suprema Corte risulta infatti impossibile scongiurare il sequestro del credito stesso, in quanto esso è una evoluzione del ‘bonus’ ottenuto in maniera illecita e, come tale, non può circolare; in tal senso, il principio fondante la statuizione, già espresso in altre pronunce dagli Ermellini, è determinato dalla necessità di dissociare la buona fede dell’acquirente ed il sequestro dei crediti.
Difatti, per il sequestro impeditivo risulta sufficiente un collegamento indiretto tra il credito ed il crimine, conseguendo la pertinenza dei crediti sequestrati alla Banca alla truffa perpetrata.
È dunque in ragione di tanto che conseguiva l’irricevibilità della tesi propugnata da parte ricorrente secondo cui il beneficiario del Superbonus, con la cessione, avrebbe rinunciato al suo diritto alla detrazione e il cessionario, con l’acquisto del credito, avrebbe di fatto maturato a titolo originario il diritto al Superbonus.
La Corte, nel discostarsi da tale interpretazione, esplicita il concetto secondo il quale la cessione del credito non estingua il diritto alla detrazione e l’acquisto dello stesso credito, da parte del cessionario, non crei un nuovo diritto; difatti, il puntuale richiamo all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., appare utile al Giudice di legittimità al fine di ribadire come il sequestro impeditivo richieda soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la ‘res’ (che, in questo caso, è rappresentata dalla cessione del credito) ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa.
Da tale pronuncia nasce la considerazione conseguenziale che vede necessariamente nei crediti sequestrati una cosa pertinente al reato, risultando infondata la tesi secondo cui, esercitata l’opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato da parte del beneficiario l’originario diritto alla detrazione (nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico), il credito stesso sorgerebbe – in capo al cessionario – a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio
La tesi propugnata dal ricorrente che intenderebbe il credito ceduto come sempre “garantito” dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto dei presupposti di legge, è dunque risultata priva di fondamento, non potendo il cessionario che beneficia di crediti di imposta “fraudolenti”, anche se in buona fede, portarli in detrazione proprio perché inesistenti e ottenuti con la truffa dal cedente.
Con la cessione del credito (art.121 del DL 34/2020), dunque, il beneficiario si spoglia del proprio diritto alla detrazione, che assume la veste, nell’identico contenuto patrimoniale, di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge, e che viene contestualmente ceduto.
Non si riscontra, dunque, l’estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione ex novo di un credito (in capo al cessionario), né un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l’evoluzione, non già la sostituzione, del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore fattore ulteriormente incentivante la procedura e, dunque, strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese.
A chiosa del condotto iter motivazionale, la Suprema Corte statuisce rispetto alla normativa di riferimento come segue: “tali commi introducono una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede; ne deriva, che non rileva in questa sede l’eventuale responsabilità del terzo cessionario né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa per come ricavabili dai commi 4, 5 e 6 in oggetto, occorrendo soltanto verificare piuttosto se la libera disponibilità della res – anche in capo allo stesso terzo – sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.“.
Ad avvalorare la legittimità del sequestro dei crediti di imposta fittiziamente creati, quali profitto del reato, la Corte di Cassazione ha dunque ritenuto di confermare il provvedimento emesso, essendosi avvalsi delle agevolazioni fiscali, creando fittizi crediti monetizzati attraverso la cessione, condizione che conduceva all’effetto ultimo di creare un credito inesistente, con origine illecita.
SENTENZA Avv. Giuseppe Bonito