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Sull’abuso dell’ATP ex art. 696 bis c.p.c. – Inammissibilità per carenza dei presupposti – Univocità interpretativa dello strumento processuale al cospetto di diverse fattispecie dannose

Nell’ambito dei casi di abuso dello strumento conciliativo, garantito dall’art. 696 bis c.p.c., si segnala una recente ordinanza del 06.06.2024 con cui il Tribunale di Avellino rigettava il ricorso proposto, finalizzato alla conciliazione di una lite, ricondotta al furto di un’autovettura.

Nella fattispecie emergeva l’insussistenza dei presupposti conciliativi in ragione di molteplici discordanze, evidenziate dalla resistente compagnia assicurativa, da ricondursi al fatto che il veicolo, soggetto a diversi passaggi di proprietà in seguito ad un fenomeno alluvionale che lo aveva danneggiato, fosse stato inopinatamente alienato al ricorrente per una cifra di gran lunga superiore a quelle dichhiarate nei precedenti passaggi di proprietà.

Tali circostanze, unite ai lunghi periodi di scopertura assicurativa rilevati, portavano a ritenere che l’autovettura risultasse seriamente danneggiata.

In aggiunta, dalla perizia sulle chiavi del veicolo, emergeva quale data di ultimo utilizzo una data risalente nel tempo rispetto a quella riferita nella denuncia di sinistro, da ricondursi al periodo in cui risultava intestatario altro soggetto, periodo in pratica coincidente con il fenomeno alluvionale che aveva danneggiato il veicolo.

Era dunque alla luce delle criticità evidenziate cheil Giudicante riteneva inammissibile l’azione proposta in quanto inidonea a svolgere la funzione tipica propria ovvero risolvere tendenzialmente ogni motivo di contesa tra le parti e favorire la composizione della lite; appariva lapalissiana, difatti, la sussistenza di una serie di circostanze che concretizzavano una contestazione sull’an dell’avversa pretesa, tali da rendere lo strumento prescelto inammissibile, oltre che inutile, in ragione della pratica impossibilità di conciliare la lite, in assenza di un rigoroso accertamento che affermasse il diritto del ricorrente, garantito soltanto da una completa istruttoria.

Invero, proprio in virtù di tali evidenze, il Giudice riteneva che l’azione risultasse: “in radice inattuabile quando, come nella specie, le parti controvertono tra loro, non solo sul quantum debeatur, ma soprattutto sul piano dell’an debeatur, quando, cioè, gli esiti di una eventuale azione di merito si presentano estremamente incerti, essendo prospettate tesi, anche di fatto, del tutto contrastanti tra loro. …il criterio discretivo dell’ammissibilità del ricorso all’istituto in esame deve considerarsi una materia del contendere tale   che l’indagine tecnica sollecitata sulla stessa sia astrattamente idonea a comporre la lite, in quanto il fatto storico è pacifico e non vi sono altre questioni, all’infuori di quella concernente il profilo tecnico della responsabilità- quali riferibilità causale  dell’effetto al fatto illecito, presenza di concause e distribuzione del coefficiente causale, incidenza di eventuali  fattori interruttivi del rapporto eziologico , datazione storica di eventi, per farli confluire sotto la volta di una determinata condotta….Pertanto il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. è inammissibile allorquando la decisione della causa implichi la soluzione di questioni giuridiche complesse ovvero l’accertamento di fatti che esulino dall’ambito delle indagini di natura tecnica”.

Non emergendo, dunque, il fumus boni iuris della pretesa avanzata, conseguiva  la declaratoria d’inammissibilità del ricorso che avrebbe altrimenti rivestito un carattere meramente esplorativo sul quantum debeatur, non compatibile con la ratio deflattiva sottesa all’istituto in esame.

Tale pronuncia, in continuità con altre due interessanti ordinanze del Tribunale di Vallo della Lucania e dal Tribunale di Nola, pure emesse al cospetto di fattispecie dannose diverse, vedeva la sostanziale adesione ai presupposti applicativi innanzi richiamati.

Nella prima delle suindicate pronunce, dall’esame degli atti del procedimento penale, emergevano chiari presupposti d’inammissibilità dell’azione ex art. 696 bis c.p.c., cristallizzati in una consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero che faceva propendere per l’insussistenza dei presupposti conciliativi e del periculum in mora.

Il medesimo iter interpretativo informava l’altra ordinanza emessa dal Tribunale di Nola che, ritenuto imprescindibile un vaglio preliminare dei richiamati presupposti, faceva espresso richiamo alla necessità di “scongiurare gli “abusi” cui l’ATP ai fini conciliativi sovente si presta, in considerazione dell’impossibilità di procedere ad una conciliazione della lite in presenza di una contestazione sollevata in ordine all’an debeatur ed alla determinazione del danno”.

È appunto al fine di non frustrare la finalità dello strumento processuale prescelto che il Giudice riteneva insussistenti il fumus boni iuris, evidenziando come non potesse  spingersi sino a surrogarsi nell’attività propria del Giudice di merito che, altrimenti,  finirebbe per trasformare l’istituto di cui all’art. 696 bis c.p.c. in una procedura eterogenea, in cui la risoluzione della controversia sarebbe in parte affidata alle decisioni del Giudice e, de residuo, alle valutazioni del C.T.U.

Lo stesso Tribunale Irpino, chiamato a pronunciarsi rispetto ad una diversa fattispecie di danni ad immobile, oggetto già di parziale riparazione ed in assenza di pericoli statici, poneva al centro di un’analoga declaratoria di inammissibilità, l’insussistenza del periculum in mora, corrispondente al rischio di dispersione della prova ovvero di subire un pregiudizio nel ritardo derivante dall’oggettiva ed attuale esposizione a pericolo di cambiamento della condizione, in mancanza di qualsivoglia elemento che lasciasse propendere in tal senso.

Al cospetto dei richiamati presupposti, il Tribunale adito riteneva che: “l’istante ha richiesto l’accertamento tecnico preventivo senza dare conto dei presupposti postulati dall’art. 696 e nemmeno dall’art. 696 bis cpc limitandosi a richiedere l’indagine di natura tecnica sui danni oggetto della controversia insorta con la compagnia di ass.ni, senza catalogare i motivi di urgenza richiesti dall’art. 696 cpc. E ‘dunque carente il presupposto primario di utile esperibilità del presente procedimento di istruzione preventiva, costituito dal requisito dell’urgenza (di far verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose), da intendersi esclusivamente come pericolo di dispersione delle fonti di prova di fatti rilevanti ai fini della decisione di eventuali cause di merito”. 

Il Tribunale di Avellino, appunto al fine di evitare la confusione tra casi in cui sussista un concreto pericolo di dispersione e/o alterazione degli elementi di prova idonei a giustificare un’azione ex art. 696 c.p.c., originanti “casi limite” in cui i ricorrenti predispongono atti al confine tra i richiamati presupposti d’urgenza e la finalità conciliativa propria di cui all’art. 696 bis c.p.c., evidenziava la possibilità di ricorrere al predetto strumento giuridico unicamente allorquando sussistesse la possibilità che il trascorrere del tempo modifichi lo stato di luoghi e/o delle cose, rendendo impossibile o inefficace il successivo accertamento di un giudizio di merito.

È dunque in considerazione delle prioritarie finalità conciliative e deflattive dello strumento di cui all’art. 696 bis c.p.c., che le ordinanze richiamate lasciano emergere la tendenziale necessità di porre un freno all’abuso di tale strumento giuridico, potendo rinvenirsi i presupposti conciliativi solo in assenza di criticità che necessitino di un’attenta valutazione circa la fondatezza dell’assunto attoreo, attività che esula, per natura, dalla funzione deflattiva del contenzioso propria dell’ATP.

Avv. Giuseppe Bonito

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